20 anni. La sensazione è quasi irreale: T2, il sequel di Trainspotting è al cinema. Dopo infinite notizie sull’impossibilità di realizzarlo, in pochissimo tempo sono comparse foto dal set, teaser, grafiche nere/arancioni con il logo “T2”. Poi il film.
La squadra è la stessa che debuttò nel 1994 (con Piccoli omicidi fra amici) e raggiunse l’apice con la trasposizione cinematografica del romanzo di Irvine Welsh, 2 anni dopo. Parliamo di Danny Boyle, Andrew MacDonald, John Hodge e Ewan McGregor.
Quando Welsh realizzò Porno, il seguito del suo capolavoro letterario, nel 2002 e un prequel, Skagboys, nel 2012, concesse un’apertura all’universo in cui vivono questi viziosi antieroi scozzesi. Trainspotting non era più solo una storia chiusa, ma proseguiva, avanti e indietro, secondo le tendenze narrative odierne contaminate da serie tv e videogame. Su pellicola Mark, Sick Boy, Spud e Begbie però aspettavano di rincontrarsi da 20 anni: un’attesa che ha caricato di aspettative tutti coloro che hanno cercato per anni un “nuovo Trainspotting” senza mai trovarlo.
Ora finalmente possiamo dirlo: T2 non è un nuovo Trainspotting. T2 esiste in relazione al suo predecessore ed è divertente, ironico, schietto, veloce, ma vedere un film come questo continuando a pensare a ciò che ha rappresentato il cult del ’96 è deleterio.
John Hodge (che con Trainspotting fu candidato all’Oscar, per la miglior sceneggiatura non originale) ha fatto un lavoro di adattamento e di scrittura con continui rimandi a quello che per molti è stato un cult ormai impresso nella memoria in modo scioccante. I protagonisti di T2 vivono nel passato, sono invecchiati, ma non hanno superato il tradimento di Renton e sembrano vivere solo per quello. Sono esattamente nella stessa condizione dello spettatore che vede scorrere i titoli di coda di Trainspotting.
Ma andiamo con ordine. Il cast: Ewan McGregor, Jonny Lee Miller, Ewen Bremner (stavolta una spanna sopra gli altri) e Robert Carlyle sono una bomba ad orologeria. Il film presenta certe trovate visive che sono la genialità di Boyle. Alcune sequenze del primo Trainspotting sono impareggiabili e caratterizzano lo stile da videoclip del film. In T2 il regista si aggiorna al look contemporaneo e sforna un paio di momenti memorabili, accompagnati da una gustosissima colonna sonora che si equilibra tra i rimandi ai pezzi classici del primo film (Lust For Life e Born Slippy), i nuovi brani acidi/ossessivi e alcune hit anni 80. C’è poi un elemento molto interessante da sottolineare: attraverso la scrittura e la memoria i personaggi e la storia stessa del film subiscono un crollo. Affrontano il loro passato in un crescendo avvincente che li porta al limite della sopravvivenza.
In una sequenza del primo Trainspotting, Sick Boy spiega a Mark Renton quello che lui definisce «un fenomeno legato a ogni percorso esistenziale» e cioè un qualcosa che «a un certo punto ce l’hai, poi lo perdi e se n’è andato per sempre». George Best ce l’aveva, David Bowie, Lou Reed, Malcom McLaren, Elvis Presley ce l’avevano anche loro. Il concetto ruota attorno a qualcosa che potrebbe essere definito come genialità o molto più semplicemente coraggio, audacia. Un qualcosa che hai solo se ti butti senza paura, solo se non hai niente da perdere, solo se hai pochi mezzi a disposizione e devi affidarti alla creatività. Trainspotting era geniale, appunto. Ti lasciava angosciato eppure divertito. Depresso e allo stesso tempo eccitato. Trainspotting era un’esperienza unica. Come le droghe.
T2 non è tutto questo. È divertimento, nostalgia, curiosità di vedere come prosegue quell’universo narrativo. È dovere.
20 anni. La sensazione è quasi irreale: T2, il sequel di Trainspotting è al cinema. Dopo infinite notizie sull’impossibilità di realizzarlo, in pochissimo tempo sono comparse foto dal set, teaser, grafiche nere/arancioni con il logo “T2”. Poi il film.
La squadra è la stessa che debuttò nel 1994 (con Piccoli omicidi fra amici) e raggiunse l’apice con la trasposizione cinematografica del romanzo di Irvine Welsh, 2 anni dopo. Parliamo di Danny Boyle, Andrew MacDonald, John Hodge e Ewan McGregor.
Quando Welsh realizzò Porno, il seguito del suo capolavoro letterario, nel 2002 e un prequel, Skagboys, nel 2012, concesse un’apertura all’universo in cui vivono questi viziosi antieroi scozzesi. Trainspotting non era più solo una storia chiusa, ma proseguiva, avanti e indietro, secondo le tendenze narrative odierne contaminate da serie tv e videogame. Su pellicola Mark, Sick Boy, Spud e Begbie però aspettavano di rincontrarsi da 20 anni: un’attesa che ha caricato di aspettative tutti coloro che hanno cercato per anni un “nuovo Trainspotting” senza mai trovarlo.
Ora finalmente possiamo dirlo: T2 non è un nuovo Trainspotting. T2 esiste in relazione al suo predecessore ed è divertente, ironico, schietto, veloce, ma vedere un film come questo continuando a pensare a ciò che ha rappresentato il cult del ’96 è deleterio.
John Hodge (che con Trainspotting fu candidato all’Oscar, per la miglior sceneggiatura non originale) ha fatto un lavoro di adattamento e di scrittura con continui rimandi a quello che per molti è stato un cult ormai impresso nella memoria in modo scioccante. I protagonisti di T2 vivono nel passato, sono invecchiati, ma non hanno superato il tradimento di Renton e sembrano vivere solo per quello. Sono esattamente nella stessa condizione dello spettatore che vede scorrere i titoli di coda di Trainspotting.
Ma andiamo con ordine. Il cast: Ewan McGregor, Jonny Lee Miller, Ewen Bremner (stavolta una spanna sopra gli altri) e Robert Carlyle sono una bomba ad orologeria. Il film presenta certe trovate visive che sono la genialità di Boyle. Alcune sequenze del primo Trainspotting sono impareggiabili e caratterizzano lo stile da videoclip del film. In T2 il regista si aggiorna al look contemporaneo e sforna un paio di momenti memorabili, accompagnati da una gustosissima colonna sonora che si equilibra tra i rimandi ai pezzi classici del primo film (Lust For Life e Born Slippy), i nuovi brani acidi/ossessivi e alcune hit anni 80. C’è poi un elemento molto interessante da sottolineare: attraverso la scrittura e la memoria i personaggi e la storia stessa del film subiscono un crollo. Affrontano il loro passato in un crescendo avvincente che li porta al limite della sopravvivenza.
In una sequenza del primo Trainspotting, Sick Boy spiega a Mark Renton quello che lui definisce «un fenomeno legato a ogni percorso esistenziale» e cioè un qualcosa che «a un certo punto ce l’hai, poi lo perdi e se n’è andato per sempre». George Best ce l’aveva, David Bowie, Lou Reed, Malcom McLaren, Elvis Presley ce l’avevano anche loro. Il concetto ruota attorno a qualcosa che potrebbe essere definito come genialità o molto più semplicemente coraggio, audacia. Un qualcosa che hai solo se ti butti senza paura, solo se non hai niente da perdere, solo se hai pochi mezzi a disposizione e devi affidarti alla creatività. Trainspotting era geniale, appunto. Ti lasciava angosciato eppure divertito. Depresso e allo stesso tempo eccitato. Trainspotting era un’esperienza unica. Come le droghe.
T2 non è tutto questo. È divertimento, nostalgia, curiosità di vedere come prosegue quell’universo narrativo. È dovere.