BABY DRIVER. Il genio della fuga
Recensioni
Settembre 7, 2017
egli auricolari la voce di Jon Spencer urla “Bellbottoms! Bellbottoms! Bellbottoms!”, il piede è sull’acceleratore. Marcia inserita. Adrenalina alle stelle. Sequenza d’apertura esplosiva.
Baby Driver è uno di quei film che non si dimentica facilmente, probabilmente il migliore dell’anno. Perché? Perché ha stile.
Stavolta l’originale e bilanciata ironia che da sempre ha caratterizzato le pellicole di Edgar Wright, si fa tagliente e mantiene il ritmo serrato di un action movie cui ogni sequenza sembra essere stata concepita come una coreografia musicale.
La Trilogia del Cornetto (Shaun of the Dead, Hot Fuzz e The World’s End) ci ha fatto capire la cifra stilistica del regista britannico: dissacrare con affetto e humor i film di genere. In questo caso però, Wright sembra aver tirato fuori qualcosa di coraggioso, con un tema centrale accattivante e addirittura una riflessione stilistica sul modo stesso di fare cinema.
Il film cita palesemente il capolavoro di Walter Hill, Driver L’Imprendibile, del 1978 e di conseguenza anche un altro capolavoro di Nicholas Winding Refn, Drive.
A causa di un debito il giovanissimo Baby è costretto a lavorare per un boss che organizza rapine con bande diverse ogni volta. L’unico comun denominatore di queste azioni è lui, che grazie al suo talento da pilota riesce sempre a sfuggire alla polizia e a portare in salvo i colleghi. Un giorno si innamora di Debora e da quel momento la loro storia d’amore rischia di essere compromessa dal mondo spietato di cui fa parte.
Come il Driver di Refn, interpretato da Ryan Gosling, Baby è un mostro al volante, parla poco e dovrà proteggere le persone che ama.
Ma Baby è solo un ragazzo un po’ strano, che a tratti sembra rasentare l’autismo. Vive in un mondo fatto solo di musica, non toglie mai gli auricolari e porta sempre con sé iPod diversi con compilation diverse a seconda dell’umore. La musica gli serve per non vedere la violenza e la crudeltà del mondo che lo circonda.
Ecco quindi il tema, il punto di forza: ognuno di noi aggiunge musica alla quotidianità per renderla più bella, per renderla “un film”. Quello che fa Baby è la stessa cosa e il film di cui noi siamo spettatori è quello abbellito dal suo punto di vista, quello scandito da una colonna sonora che lui sceglie per noi premendo stop, rewind e poi ancora play se la sparatoria o l’inseguimento stanno durando più del brano selezionato. Perché tutto deve coincidere con il ritmo di ciò che sta sentendo. Le sequenze d’azione diventano così una meravigliosa coreografia al ritmo di Queen, Damned e James Brown, i titoli di testa un videoclip di Harlem Shake in cui tutto intorno è sincronizzato con il pezzo, mentre gli spari vengono esplosi al ritmo di Tequila degli Champs.
Ad ulteriore dimostrazione del fatto che stavolta si può senza dubbio gridare al capolavoro c’è una sfilza di attori enormi e magistralmente diretti: Ansel Elgort, Kevin Spacey, Jamie Foxx, Jon Hamm, Jon Bernthal, Eiza Gonzalez e Lily James.
TaKillYa!
BABY DRIVER. Il genio della fuga
Recensioni
Settembre 7, 2017
egli auricolari la voce di Jon Spencer urla “Bellbottoms! Bellbottoms! Bellbottoms!”, il piede è sull’acceleratore. Marcia inserita. Adrenalina alle stelle. Sequenza d’apertura esplosiva.
Baby Driver è uno di quei film che non si dimentica facilmente, probabilmente il migliore dell’anno. Perché? Perché ha stile.
Stavolta l’originale e bilanciata ironia che da sempre ha caratterizzato le pellicole di Edgar Wright, si fa tagliente e mantiene il ritmo serrato di un action movie cui ogni sequenza sembra essere stata concepita come una coreografia musicale.
La Trilogia del Cornetto (Shaun of the Dead, Hot Fuzz e The World’s End) ci ha fatto capire la cifra stilistica del regista britannico: dissacrare con affetto e humor i film di genere. In questo caso però, Wright sembra aver tirato fuori qualcosa di coraggioso, con un tema centrale accattivante e addirittura una riflessione stilistica sul modo stesso di fare cinema.
Il film cita palesemente il capolavoro di Walter Hill, Driver L’Imprendibile, del 1978 e di conseguenza anche un altro capolavoro di Nicholas Winding Refn, Drive.
A causa di un debito il giovanissimo Baby è costretto a lavorare per un boss che organizza rapine con bande diverse ogni volta. L’unico comun denominatore di queste azioni è lui, che grazie al suo talento da pilota riesce sempre a sfuggire alla polizia e a portare in salvo i colleghi. Un giorno si innamora di Debora e da quel momento la loro storia d’amore rischia di essere compromessa dal mondo spietato di cui fa parte.
Come il Driver di Refn, interpretato da Ryan Gosling, Baby è un mostro al volante, parla poco e dovrà proteggere le persone che ama.
Ma Baby è solo un ragazzo un po’ strano, che a tratti sembra rasentare l’autismo. Vive in un mondo fatto solo di musica, non toglie mai gli auricolari e porta sempre con sé iPod diversi con compilation diverse a seconda dell’umore. La musica gli serve per non vedere la violenza e la crudeltà del mondo che lo circonda.
Ecco quindi il tema, il punto di forza: ognuno di noi aggiunge musica alla quotidianità per renderla più bella, per renderla “un film”. Quello che fa Baby è la stessa cosa e il film di cui noi siamo spettatori è quello abbellito dal suo punto di vista, quello scandito da una colonna sonora che lui sceglie per noi premendo stop, rewind e poi ancora play se la sparatoria o l’inseguimento stanno durando più del brano selezionato. Perché tutto deve coincidere con il ritmo di ciò che sta sentendo. Le sequenze d’azione diventano così una meravigliosa coreografia al ritmo di Queen, Damned e James Brown, i titoli di testa un videoclip di Harlem Shake in cui tutto intorno è sincronizzato con il pezzo, mentre gli spari vengono esplosi al ritmo di Tequila degli Champs.
Ad ulteriore dimostrazione del fatto che stavolta si può senza dubbio gridare al capolavoro c’è una sfilza di attori enormi e magistralmente diretti: Ansel Elgort, Kevin Spacey, Jamie Foxx, Jon Hamm, Jon Bernthal, Eiza Gonzalez e Lily James.
TaKillYa!